Un tragico momento
«Che cosa è successo» chiesi non appena scesi dall’auto, a una persona defilata dalla folla che si accalcava in mezzo alla strada. «Non saprei, sto cercando anch’io di capire.» Ribatté in tono cortese. A quel punto, poiché non potevo proseguire il viaggio, posteggiai l’auto e, avanzai fra la gente cercando di capire il motivo di quell’assembramento. Rimasi allibito, la scena davanti ai miei occhi era tragica. Una donna urlava la sua disperazione guardando il bambino disteso sull’asfalto. Pareva privo di sensi, aveva una gamba piegata in modo anomalo e, perdeva sangue dalla testa, lì vicino, c’era una bicicletta semi accartocciata e, qualche metro più in là, un’auto con il parabrezza incrinato. Non potevo reggere oltre, la disperazione di quella donna rasentava la pazzia, continuava a battersi i pugni in testa e, urlare, no, no, perché, fate qualcosa. Mi avvicinai per darle conforto o almeno tentare di farlo. Dopo averla afferrata per un braccio cercando di tenerla ferma le dissi: «Stia tranquilla signora vedrà che andrà tutto bene.» «Che cosa dice, non vede che è morto?» affermò. «Non si muove!» aggiunse singhiozzando. A quel punto non volevo credere a ciò che avevo appena sentito, m’inginocchiai sulla strada e, senza toccare quel corpo esanime, notai con soddisfazione che respirava. «E’ vivo!» Urlai alla gente alzandomi. La signora disperata, mi abbracciò e disse: «Grazie, non avevo il coraggio di appurarlo ma, coltivavo la speranza che lo fosse.» «Vedrà che suo figlio si riprenderà presto» le dissi cercando di rincuorarla. Mi guardò in modo intenso e aggrottò la fronte come a domandarmi qualcosa ma, rimase zitta.
Notai, però un’espressione sul suo splendido viso, incorniciato da un caschetto di capelli neri, che mi portò a riflettere, forse io conosco questa donna, pensai per un attimo. Stavo per chiederle se le mie riflessioni fossero vere, quando lei esordì: «Ci conosciamo?» domandò con espressione stupita. «Tu sei Lino!» esclamò con certezza dopo qualche secondo. Sentendomi chiamare in quel modo, il mio cuore guizzò e, in un attimo srotolai i ricordi di quarant’anni. «Lella!» esclamai abbracciandola, lei ricambiò e si abbandonò in un pianto irrefrenabile che presto la fece sentire più leggera.
Lei era una compagna di classe di quando frequentavo la scuola media al paese e, il mio corpo fu percorso da un brivido come l’ultima volta che l’avevo vista alcuni lustri addietro.
Io stimavo quella donna da quando eravamo adolescenti, forse la amavo e, il pensiero che la sua creatura giaceva su quell’asfalto, mi fece sentire impotente. Avrei voluto dirle e chiederle milioni di cose ma, c’era qualcosa di molto più importante da fare, dovevamo soccorrere quell’esile vita in mezzo alla strada. L’ululato delle sirene che si avvicinavano ci distolse ma al tempo stesso c’incoraggiò. Con frenesia ci avvicinammo al personale medico che presto, dopo i primi accertamenti, comunicarono la lieta notizia. La gamba che a occhi poco esperti poteva sembrare rotta, in realtà era solo contusa e, la ferita alla testa era lieve. In sostanza il ragazzino, che dopo qualche minuto era già stato sistemato a bordo dell’ambulanza, non correva pericolo di vita. L’ispettore, che giunse qualche minuto dopo, interrogò alcune persone per accertare cosa e come fosse successo, mentre gli agenti misuravano il luogo dell’incidente. Solo in quel momento appurai che Lella non era la madre del bambino ma, si stava solo disperando per l’accaduto. «Ho avuto paura per la sua vita» disse afferrandomi per mano. «Hai vinto un caffè.» Le dissi indicando un bar poco distane mentre il sibilo dell’autolettiga si allontanava. «Offri tu?» Chiese con un sorriso stuzzicante.
«Sì.» Ribattei cingendola con un braccio. Lei mi strinse e, attraversammo la strada ascoltando quel magico silenzio che stava dicendo tante, forse troppe cose…