. L'ESSERE È POESIA RIASSUNTO
Scrivo ciò che sento per non dimenticare Ascolto ciò che scrivo per poter un giorno ricordare
RECENSIONE Nell’attuale incombente cultura delle immagini, della vita “reale” spettacolarizzata e resa spesso più finta delle finzioni stesse, diventa necessario resistere alla corrente che spazza via con i suoi orrori quotidiani le possibilità dell’Io. Ecco allora che la voce di un poeta che scavi dentro il fatto e riporti alla luce il brusio di sentimenti, emozioni, il canto vivo che resta soffocato in gola alla modernità, resta l’unica melodia in grado di svegliare la coscienza. Perché la scrittura, la poesia, è un dato che con prepotenza mette in ombra ogni pura cronaca con i suoi eventi. In questa raccolta, intitolata “L’essere è Poesia”, l’autore sembra voler arginare, disegnare un margine ad una situazione ormai consolidata in cui la civiltà dell’informazione, con il tumultuoso susseguirsi di notizie d’ogni genere, affolla la nostra memoria quotidiana e ci impedisce a volte il piacere del ricordo, la riflessione, la lettura. Carmelo Cossa suscita nel lettore la voglia di riconquistare un’esperienza che riguarda appunto la poesia così come è stata “vissuta” presto o tardi da tutti, a scuola, in età adulta, all’università, davanti ad un paesaggio, immersi negli eventi di cronaca, un’esperienza individuale insomma ma nello stesso tempo universale nella comunanza del sentire e nella condivisione o discussione di valori e di intenzioni. È l’autore stesso a parlarci di un evento che costituirà una delle svolte nella sua vita: è il 1969 quando, appena ragazzino, giunge a Torino lasciando il Cilento, la sua terra, affrontando la partenza che ne “Il Treno”, il primo componimento della raccolta, appare come la speranza di un domani che Cossa sente ricco di possibilità. Un sentimento che probabilmente molti vissero nell’Italia di quegli anni ed a cui l’autore sa dar voce con saporita verità. Era l’estate del 1969 e davanti alla mancanza di prospettive in un ambiente che “gli andava stretto”, cui non sentiva di appartenere, il giovane vive un forte impulso a cambiare, a partire, a ricominciare vedendo in Torino una nuova “Aurora” (il secondo componimento). “Me stesso” è ancora un invito allo scavo nella propria intimità ritrovando le risorse e gli strumenti per affrontare la solitudine, sensazione quasi tattile, grave, pesante per un giovane forestiero in una città nuova in cui tutto per lui è da rifare, le amicizie da cercare, così come il lavoro ed una propria stabilità. Il percorso del quindicenne, già piccolo poeta, emerge in tutta forza: la sua voglia di studiare, imparare, conquistare una cultura per ribellarsi alle afflizioni ed alle fatiche di una vita contadina che imponeva il silenzio, alla sofferenza generata dai mille perché che rimanevano senza risposta. “Liberarsi il cuore” rappresentava allora uno degli appigli per non arrendersi mai e per cogliere e sfruttare le opportunità che la vita offre. Partire, lasciare il cuore ed il calore della propria casa non è mai facile, si desidera il cambiamento, l’uscita tutta una vita, in fondo però, rimane l’eterno luogo cui si vuol tornare, in un nostos dal sapore epico. Un sentimento di gratitudine per una terra ed una famiglia che gli ha offerto la possibilità di gioire oltre che di sospirare per qualcosa di ancora ignoto emerge anche in una poesia come “Papà”, dove l’etica del sacrificio si accosta ad una nostalgia per il proprio nucleo familiare ed il poeta stesso come padre di famiglia ha ormai preso su di sé le responsabilità e le gioie di tale realtà. Andiamo incontro allora al “bambino” che vive ancora dentro al poeta e che sembra vegliare sotto ogni verso e che l’autore stesso accarezza con lo sguardo: “Credo fermamente che ogni essere, a modo suo, nel suo IO rimanga un po’ bambino”, da qui la sua visione lucida, nitida ma piena di interrogativi di fronte alla vita come in “Paura”, scritta da un quindicenne solo o in poesie come “Speranza”, dove la pars destruens si condensa in una volontà di riconquista, in cui è il riscatto dalla sofferenza a stimolare una rivincita in termini propositivi oltre che positivi. La realtà irrompe poi nell’universo della memoria e viene proiettata in una visione poetica in cui è lui con la penna in mano a vincere; ecco allora la poesia “Per sempre”, frutto di un lungo intermezzo ma che sigilla entrambi i componimenti con “Vorrei farti vivere nella luce della speranza”. L’amore sa essere estremo, vitale, quasi assassino (in “Ti odio” la potenza del sentimento del conflitto e dell’orgoglio non necessitano di schermi, le parole sono crude ma vengono dal profondo), impossibile non condirne la vita separandolo da altri ingredienti esistenziali come il dolore, la follia, l’amicizia, è un altro sottile filo rosso che precorre e percorre il discorso lirico: in “Mai”, si canta il Primo ed il più tenero, uso dall’ormai inflazionata frase “quello non si scorda mai”, un amore sincero, tutto interiorità e sensazione, il profumo, il coinvolgimento totale, sensoriale mai cancellato che anzi riporta alla mente “Mai fine”, in cui pessimismo e speranza si affrontano e si abbracciano, ma anche “Un grande amore” che arde come un fuoco e poco importa se non si consumerà mai. Altri esempi di questo sistema olistico che è l’uomo e soprattutto il poeta si ritrovano in “Un rito” , il cammino di ogni essere nella sua manovra di avvicinamento alla vita e poi di esistenza nella scoperta di un aspetto fondamentale dell’amore, quello carnale, travolgente perché ogni giovane che scruta il domani prima di questo grande salto sogna già di vivere personalmente “una sensazione mai provata da un fiore appena nato” e di essere “investito dalla passione”. Molte poesie esprimono la ricerca ed il desiderio d’amore (“Tu”, “Amare”…), ci è connaturato in fondo ma si perde forse il coraggio di restare aggrappati al sogno di trovarlo; Carmelo Cossa, fedele al suo Io anche in questo, l’ha cercato, perseguito e incontrandolo anche nell’amatissima moglie Rosa, incita i lettori a non porsi mai dei limiti, a lottare per l’amore che si sta vivendo perché, come nella poesia “Voglio”, “il cuore può spingermi oltre limiti che non voglio più pormi”. Si conclude un’esperienza poetica che ci assicura un nuovo sguardo sul futuro delle nostre emozioni, solleva una cortina di tranquillità percettiva e come una pioggia di luce stimola in noi la voglia di ritrovare quel canto chiuso da qualche parte in gola, l’amato bene dei poeti e l’apertura verso l’ignoto per chi non ha paura di saltare. A cura di Valentina Versino (Marzo 2009)
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